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LA MENTE INTELLIGENTE E COMPASSIONEVOLE

LA MENTE INTELLIGENTE E COMPASSIONEVOLE

[ Articolo di William Esposito, tratto dalla Rivista Psicosintesi, N°20 del 10/2013]

Il titolo del presente articolo include tre termini, più precisamente un sostantivo mente e due aggettivi intelligente e compassionevole. Prendiamo in considerazione il primo. Perché mente e non la persona intelligente, l’individuo intelligente, l’essere intelligente e così via?
In Oriente, specie nel pensiero tradizionale indiano, la mente (in sanscrito: manas) è l’interfaccia fra la materia e lo spirito, tra l’anima umana (cuore ed intelletto) e l’anima spirituale. Più in particolare, Buddhi-Manas (l’anima spirituale o Sé transpersonale) viene distinto dal suo umano riflesso: Kāma-Manas (l’anima umana o sé personale o Io – laddove kāma è il corpo dei “desideri”, delle passioni) . Manas pertanto esprime la totalità del cuore, della mente e dello spirito (almeno come potenzialità); significato analogo attribuito da Jung al Sé ; motivo per cui nella presente trattazione il termine “mente” è stato preferito ad altri similari.
Intelligente è un aggettivo che deriva dal latino intelligentum: participio presente di intelligere: “intendere”; composto della particella in “verso” e di tendere: “volgere”, “dirigere”, “volgere verso un dato termine”, ma anche “avere volontà”. Infatti Ottorino Pianigiani, nel suo Dizionario Etimologico, precisa: «È come se si dicesse volgere i sensi o la mente ad un dato obiettivo».

L’intelligenza pertanto ha a che fare con l’atto di dirigersi, di avere un obiettivo con volontà quale diretta espressione dell’essere. È un dirigersi restando in stretto contatto con se stessi.

Così si usa dire «Quella persona promana intelligenza» ciò che pensa, dice e fa non è disarticolato dal suo essere: in sostanza testimonia se stesso. Altre definizioni attribuiscono all’aggettivo intelligente il significato di “saper distinguere”, “comprendere” ecc., ma in questa sede sono meno chiarificatrici.
Compassionevole è un aggettivo che deriva dal termine compassione e dal verbo compatire, composto di com dal latino cum: “con” e pati “soffrire”, ovvero partecipare all’altrui patimento, sofferenza. È interessante notare che il termine ricalca il greco sympátheia “comunanza di dolore”. L’intelligenza compassionevole pertanto potrebbe definirsi un dirigersi in coerenza con se stessi tenendo conto dell’altro, principalmente delle sue emozioni e sentimenti.
Migliaia di pagine non basterebbero a tratteggiare con tutte le sfumature possibili ciò che rientra nei termini di intelligenza e compassione. A seguire si propone un elenco, certo del tutto parziale, di possibili caratteri inerenti sia l’uno che l’altro a partire dalle fonti letterarie consultate, dalla formazione, dal sentire profondo e dalle esperienze di chi scrive.

INTELLIGENZA

Consapevolezza dei propri condizionamenti, esterni ed interni. La mente e la ragione sono metaforicamente associate all’atto di illuminare, far luce, così come all’immagine del faro (cfr. illuminismo). Ma questa funzione viene assolta solo se la lampada e lo specchio sono puliti quanto più possibile, non impolverati né incrostati da pregiudizi, forme pensiero, concrezioni mentali frutto di nevrosi, proiezioni, ecc., ma anche dai propri condizionamenti esterni, imposizioni più o meno subite.

Coraggio di esprimere il proprio pensiero, di ricercare e di sperimentare; senza per questo rischiare l’isolamento mentale e intellettuale, l’infatuazione delle proprie idee, aprendosi alla verifica e al confronto.
Creatività, non solo intesa come creazione originale che si contrappone all’imitazione e al conformismo, ma anche quale capacità di sapersi reinventare, trasformare, adattare, momento per momento a seconda del contesto (come nel caso del linguaggio, che richiede continui aggiustamenti e aggiornamenti, se esso vuole adempiere al proprio ruolo di comunicazione finalizzato al dialogo, al trasferimento del sapere, al servizio del maggior bene comune possibile).
Curiosità – capacità di osservazione integrale come suggerito da Jiddù Krishnamurti di «tutti i moti della vita dentro e fuori di sé», senza condanna o giudizio . Comporta il superamento del timore pudico di condivisione con altri dei propri bisogni di conoscenza su domande esistenziali fondamentali: «chi siamo?» «da dove veniamo?» «perché viviamo?». Poiché, come afferma Jostein Gaarder, non porci queste domande è come vivere in uno stato soporoso.
Deduttivo (metodo) – da una visione d’insieme, generale, procede verso il particolare. È l’arte del togliere, della scultura per intenderci, forse la più difficile di tutte. Richiede capacità intuitive, elasticità mentale, cerca similitudini, simmetrie (metodo analogico – i neoplatonici alessandrini, che ne facevano largo uso, erano chiamati per questo anche analogisti).
Si contrappone al metodo induttivo, proprio delle scienze esatte, che dal particolare, dall’analisi di una serie di dati isolati perviene a leggi naturali. È l’arte dell’aggiungere, come la pittura. Fare un viaggio in auto guidati dal navigatore satellitare, piuttosto che da una cartina stradale, oppure consultare un sito internet piuttosto che un’enciclopedia sono esempi dei due approcci, rispettivamente induttivo e deduttivo. È chiaro che essi si integrano e comunque anche le deduzioni richiedono una verifica, una prova, laddove è possibile.
Essenzialità – mirare all’essenza, senza identificarsi nei mezzi, negli strumenti della conoscenza, per quanto utili. Osserva molto saggiamente il filosofo e spiritualista bulgaro O. M. Aïvanhov che una volta che ci si è «ancorati all’essenziale» ci si può permettere di andare ad esplorare tutto quello che si vuole.
Essere e non avere – possedere delle conoscenze, erudizione senza alcun contatto con se stessi, col proprio sentire (o, peggio ancora, con quello dell’altro), non è una vera e propria forma di intelligenza, è cosa diversa: cultura, nozionismo ecc. ed ha a che fare con la possessività (possedere deriva dal latino possidére “seder sopra”). Poiché promana dall’essere, l’intelligenza si basa sull’esperienza, mentre le teorie, come già detto, non sono che meri strumenti.
Globalità (o totalità) – l’individuo si muove e procede nell’ottica dell’integrazione delle diverse istanze che lo costituiscono, bio-psico-sociali e transpersonali. Sorveglia costantemente sul rischio di emersione di identificazioni parziali (scissioni) e si preoccupa della loro integrazione (attivando processi di sintesi). Ha massimamente a cuore anche la crescita armonica delle persone significative con cui si rapporta, nel rispetto delle specificità e caratteristiche uniche di ciascuno. Come osserva Alberto Alberti, questo processo di integrazione, quando autentico, restituisce all’individuo la propria umanità . È un processo di umanizzazione che comporta la scoperta e la valorizzazione di risorse, ma anche l’accettazione di limiti, intesi, nell’ottica della psicologia differenziale, non tanto come handicap ma come “diverse abilità” rispetto a determinati compiti.
Intuizione: emana da un piano superiore dell’essere (transpersonale); è per lo più inconsapevole nelle sue elaborazioni (certamente non speculative, bensì superconcettuali e supersensorie ); inaspettata, per quanto la si possa favorire attraverso una focalizzazione motivazionale e mentale preliminare, seguita da un periodo di incubazione (Einstein affermava di essere stato ossessionato dall’idea del tempo, la quale era un continuo oggetto dei propri pensieri nel periodo in cui stava elaborando la teoria della relatività).

Maieutica – è l’arte socratica dell’aiutare a far partorire le proprie idee, punti di vista e motivazioni. L’approccio maieutico stimola l’intelligenza, non la tarpa perché tiene conto dell’individuo, delle proprie caratteristiche evolutive, tempistiche e motivazionali. In campo educativo e psicoterapico è impagabile per i risultati che produce. Plutarco sosteneva che un bambino, un individuo, «non è un vaso da riempire, ma un fuoco da suscitare» . In quest’ottica educare (dal latino ex-ducere: “estrarre”) e insegnare (“segnare profondamente”) sono due approcci diametralmente opposti, ma non necessariamente escludentesi. La psico-educazione, pratica oggi in voga specie negli ambienti di cura istituzionali, rivolta a pazienti, ma specialmente ai familiari di malati (per esempio disturbo schizofrenico, dipendenze patologiche ecc.), comporta proprio una forma mista di educazione e informazione per fronteggiare pregiudizi e condotte erronee frutto di scarsa conoscenza.
Osservazione – secondo il Nobile Ottuplice Sentiero buddhista la ‘retta visione’ (dal sanscrito: sammā diţţhi) precede rispettivamente “il retto pensiero”, la “retta parola” e la “retta azione”. Si tratta delle prime quattro Regole di otto complessive, di quello che è definito anche “Cammino intermedio” della terapeutica elaborata dal Buddha.
È una forma di disciplina mentale che conduce al retto agire, ma anche un insieme di regole d’oro per stare al mondo con consapevolezza di sé, degli altri e della vita in genere. L’osservazione pura è presenza, testimonianza. Anche se difficile da attuarsi, riduce la separazione fra osservatore e cosa osservata e al contempo limita le perturbazioni (comunque inevitabili, in qualche misura, come suggeriscono i risultati della fisica quantistica) che l’osservatore esercita sull’osservato, in maniera tale da averne un quadro quanto più possibile oggettivo, senza le distorsioni del giudizio, delle interpretazioni, delle proiezioni ecc.
Sintetico (approccio) – da sintesi “mettere assieme” o approccio eclettico (letteralmente “scelta”), va distinto dal sincretismo, identificabile come un’accozzaglia o miscuglio di oggetti diversi. La sintesi invece ha una propria organicità. Benché possa essere il risultato di parti fra loro molto distinte, nella sintesi queste hanno tuttavia un’interazione armonica (come avviene fra gli organi del corpo).
La sintesi ha a che fare con l’organismo vivo e vitale, con la vita mentre l’analisi per definizione la seziona, la de-compone (si rammenta che il termine “analisi” rimanda alla funzione anale, all’analità).

“LA VOLIZIONE, IN SINERGIA CON L’AMORE E L’INTELLIGENZA,CONSENTE ALL’INDIVIDUO DI DISCHIUDERSI ALLA LIBERTÀ DI ESSERE ”

Radha e Krishna, sce. XIX

Trasmutazione (capacità di) – la mente veramente intelligente riesce a trasformare qualunque genere di acquisizione sul piano astratto e teorico in un’esperienza tangibile e sensata, in una sorta di distillato in qualche modo utile e significativo. Si rifiuta di accogliere informazioni, nozioni e quant’altro di simile che non comportino un arricchimento personale. Oggi le informazioni viaggiano nella rete informatica in quantità e a velocità tali da essere spesso incompatibili con le comuni capacità di acquisizione della mente umana. Queste restano impresse in modo superficiale e quindi per un tempo limitato, senza assimilazione. In termini neurofisiologici si potrebbe dire che si limitano ad attivare aree cerebrali esigue, come la corteccia visiva e l’ippocampo (sede quest’ultimo dei processi della memoria a breve e a medio termine), senza produrre una memoria di tipo associativo, che coinvolge un numero elevato di aree cerebrali e di corrispondenti funzioni psicologiche, inerenti principalmente le sensazioni corporee e la dimensione emotivo-affettiva, ma anche altre come quella immaginativa, quella intuitiva e la volizione.

COMPASSIONE

Empatia – è la capacità di risonanza col sentire dell’altro, di riuscire a mettersi nei suo panni. Nell’etica del Cristo questo concetto è condensato nel monito «ama il prossimo tuo come te stesso». È anche la percezione di una comune appartenenza di base: al genere umano, o anche più genericamente alla Vita e all’Esistenza, per cui questo sentimento di comunanza, o di “Unità” nella filosofia di Plotino, comprende anche gli animali e tutte le forme esistenti in natura, anche apparentemente inanimate, visti nella prospettiva di una comune, benché differenziata, costante faticosa evoluzione.
Generosità – parte da una condizione di ricchezza interiore. Il termine rimanda al concetto di “lignaggio”: l’essere di buona famiglia, possidente, ricco.
Ha la medesima radice del verbo ‘generare’: dar luogo . Ma comporta invariabilmente la rinuncia a parte di sé, con la possibilità di una perdita. Piero Ferrucci afferma che non vi è atto autenticamente generoso senza alcuna trasformazione di sé, ovvero che non ci chiami in causa in qualche modo, non è in sostanza un elemosinare, ma un trasfondere, un’offerta di sé . Un esempio eclatante di generosità di questo genere è mettere al mondo figli e soprattutto crescerli: una forma di generosità oggi in estinzione. Non attaccamento – è approccio all’altro non secondo le proprie aspettative, ma disinteressato. Vede l’altro per come è, si mette nella sua prospettiva e non la rovescia per ricondurla a sé.
La maturazione di questa capacità connota, secondo la psicologia dinamica, la relazione oggettuale, in cui si realizza il riconoscimento dell’oggetto in quanto esistenza separata da sé ; differenziandosi pertanto dalle identificazioni narcisistiche delle tappe precedenti in cui la realtà concreta viene totalmente inglobata in base ai bisogni simbiotici e di gratificazione di aspettative soggettive.

La tradizione indo-buddhista esprime questo concetto come «non attaccamento ai frutti dell’azione» o anche come spassionatezza (sanscrito: vairāgya) di fronte al piacere come al dolore . Analogamente, un ingrediente fondamentale dell’approccio psicologico ideato da Carl Rogers è il calore non possessivo. Quali metodi efficaci nel ridimensionare il peso delle cose, Roberto Assagioli suggerisce l’impiego dell’umorismo e alcune tecniche come l’esercizio di disidentificazione ed autoidentificazione e quello per evocare le giuste proporzioni.

Responsabilità – questo aspetto apparentemente si contrappone a quello appena descritto, ma di fatto lo integra, lo completa. Unità non implica egualità; contempla il riconoscimento della specificità degli individui, non solo sul piano psicologico (cfr. psicologia differenziale), ma anche ontologico: la loro unicità, irripetibilità. Questa prospettiva è estendibile a tutti gli aspetti dell’esistenza. Così, ad esempio, un tramonto non può essere paragonato ad un altro tramonto e lo stesso vale per gli alberi e per tutto il creato.

E’ anche capacità di valorizzare qualunque cosa come centro e non periferia, ridimensionando la percezione dell’esistere in ottica universale: in un universo supposto infinito, centro e periferia coincidono. Non vi sono pertanto forme di esistenza banali o insignificanti. Se si considera infine, in quest’ottica universale e non relativa, che la luce di qualunque oggetto si proietta nello spazio per un tempo indefinito (a noi arriva la luce delle stelle e delle galassie per come erano milioni di anni fa, a seconda della loro distanza, e non per come sono adesso, per via dell’intervallo spazio-tempo che ci separa da esse), persino le azioni quotidiane assumono connotati, si potrebbe dire, con carattere quasi di eternità.

I fenomeni della nostra limitata Terra, ragionando per assurdo, sono pertanto unici, infiniti ed eterni.

Se si considera infine la possibilità, forse non del tutto remota, che fenomeni analoghi al cosiddetto entanglement osservato in fisica quantistica, si realizzino in qualche misura anche nel macrocosmo e nelle relazioni umane (cfr. sincronicità junghiana), allora la consapevolezza dell’interconnessione fra gli esseri a vari livelli rende ancor più responsabile il nostro agire.
Il concetto di “intelligenza compassionevole” contraddistingue inequivocabilmente il pensiero di Jiddu Krishnamurti (1895-1986) e lo si incontra, anche se non esattamente in questi termini, in tutta l’estensione del suo parlare, dagli albori della sua lunga esistenza fino ai giorni del suo trapasso. Nelle Lettere alle scuole (1981) fa esplicito riferimento a un genere di «compassione [che] agisce per mezzo dell’intelligenza».

Roberto Assagioli usava definire il medesimo concetto “comprensione amorevole” ovvero, rovesciando i termini, amore comprensivo (si è visto sopra che “‘comprensione” è un sinonimo di “intelligenza”). Nel 1935 pubblicò sul periodico della Società Teosofica Italiana Il Loto un articolo sull’argomento, intitolato appunto Comprensione amorevole , essenziale e leggero come è nel suo stile, ma straordinariamente efficace nel chiarire la questione.

Intelligenza e amorevolezza sono istanze fra loro strettamente connesse, portate per natura ad integrarsi e ad armonizzarsi, benché negli individui, a seconda della costituzione e del carattere, tendano ad essere accentuati o carenti, in un senso o nell’altro, con le disarmonie, le storture o le patologie che in certi casi ne derivano.

Semplificando possono essere racchiusi nelle qualità dell’intelletto e del cuore (Logos ed Eros o Psiche e Amore della filosofia e mitologia greca), fra loro compenetrantesi: rispettivamente, l’azione ordinatrice, chiarificatrice, illuminante e la vita palpitante, sensazioni, impulsi, emozioni e sentimenti, quali l’amore, la lotta per la sopravvivenza e per la riproduzione ecc.
L’Astrologia “caratterologica” rappresenta molto bene questi opposti, a vari livelli: fra elementi, fra pianeti e fra segni zodiacali.
L’armonizzazione degli opposti è un obiettivo che l’essere che è sul cammino del proprio perfezionamento e di quello altrui ha sempre in animo. Assagioli distingue l’equilibrio fra opposti dalla sintesi degli stessi il quale, a differenza del primo in cui i due termini opposti si neutralizzano, dà luogo, per opera di un elemento o principio superiore ad una nuova realtà più alta e più vasta, che non è la semplice somma algebrica degli stessi .

Si è visto come intelletto e amorevolezza concorrano all’armonia dell’esistenza. Ma non è ipotizzabile che ciò accada in assenza di un’altra istanza fondamentale della vita psichica: la volizione. Quest’ultima è intenzionalità (una qualità caratteristica del Sé), valutazione, atto decisionale e direzionalità nell’agire. La volizione, in sinergia con l’amore e l’intelligenza, consente all’individuo di dischiudersi alla libertà di essere. Ma la trattazione di questo importante aspetto non rientra fra gli obiettivi del presente articolo, rimandando per la stessa ad altre fonti, fra cui quelle suggerite in bibliografia.


FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

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